Nord Darfur: un progetto contro i cambiamenti climatici
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14-06-2019 | di COOPI

Nord Darfur: un progetto contro i cambiamenti climatici

Immaginate una regione con una superficie di circa 296.420 km², in cui circa 1.583.000 persone (2006) sono a rischio malnutrizione, in mancanza di acqua ed esposti a continui conflitti.

È quello che accade nel Nord Darfur, in particolare nelle quattro località di Malha, Mellit, Um Keddada e Um Baru dove, dal 2017, abbiamo deciso di intervenire con il nostro progetto “Rafforzare la resilienza delle comunità locali verso i cambiamenti climatici”, finanziato dall’Unione Europea e implementato dalla Sudanese Environmental Conservation Society (SECS).

Il progetto, che avrà durata triennale, si propone di contribuire a rafforzare le capacità e fornire i mezzi di sussistenza sostenibili necessari ad affrontare i cambiamenti climatici di circa 108.000 persone, ovvero 18.000 famiglie di cui circa 7.200 con donne a capo.

Tradizionalmente, le comunità locali sono da sempre state dedite alla pastorizia. Purtroppo però la diminuzione delle piogge e le siccità ricorrenti, a causa dell’instabilità climatica, hanno provocato ingenti perdite di capi di bestiame, scarsa produzione di latte e ritardi nella riproduzione, generando così una diffusa insicurezza alimentare.

L’acqua rappresenta pertanto l’emergenza principale in questi territori, dove, attualmente, l’approvvigionamento dipende da cortili d'acqua o pozzi poco profondi. I corsi d’acqua presente, invece, non sono distribuiti uniformemente sul territorio, per cui gli utenti devono camminare per ore con il bestiame per raggiungerli.

Riabilitare tali strutture di raccolta d’acqua e rafforzare la gestione comunitaria e sostenibile delle risorse permetterà quindi di rafforzare la resilienza delle comunità locali e sostenerli nella loro ripresa economica.

La gestione delle risorse naturali e in particolare del reperimento di fonti d’acqua sicure sono alcune delle priorità di progetto, che comprende, tra le altre:

l’attuazione di foreste comunitarie; la realizzazione di quinte arboree, pascoli recintati; la raccolta delle acque superficiali attraverso gli hafir (per gli animali), la costruzione di pozzi, dighe di contenimento in pietra, bacini di spandimento dell'acqua e viali parafuoco.

Ulteriori iniziative, come la riabilitazione e la conservazione delle risorse naturali o ancora l’adozione di buone pratiche in materia di energie rinnovabili, contribuiranno ad affrontare le principali conseguenze dello stress legato alle condizioni meteorologiche e ai cambiamenti climatici, tra cui il degrado ambientale, che si ripercuotono sulle comunità già vulnerabili e provocano ulteriori spostamenti umani.