Crisi in Sudan. COOPI rimane nel paese, anche se gli operatori internazionali rimpatriano
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28-04-2023 | di COOPI

Crisi in Sudan. COOPI rimane nel paese, anche se gli operatori internazionali rimpatriano

A causa della grave crisi scoppiata sabato 15 aprile, COOPI - Cooperazione Internazionale si è trovata costretta a rimpatriare gli 11 operatori internazionali presenti in Sudan (8 basati a Khartoum e 3 in Darfur), dove la nostra organizzazione è attiva dal 2004. Nonostante ciò, COOPI rimane nel Paese. Grazie infatti allo staff nazionale presente (circa 50 colleghi che possono essere ancora operativi), i progetti vanno avanti nelle zone meno colpite dal conflitto e, in sinergia con gli espatriati che continuano a lavorare da remoto, ci si prepara alla nuova emergenza umanitaria: il flusso degli sfollati che cerca rifugio e mezzi di sopravvivenza a nord, sud ed ovest del Sudan.

La settimana dal 15 al 20 aprile è stata molto intensa per gli 8 operatori internazionali bloccati a Khartoum: quattro di nazionalità italiana nella guesthouse di COOPI, nella zona dove gli scontri erano più violenti, ovvero Khartoum 2 e due (un italiano ed un etiope con famiglia) in diverse abitazioni private nel quartiere Amarat. Con scarsa elettricità e di conseguenza comunicazioni centellinate. La sopravvivenza affidata ai kit di ibernazione (viveri e acqua per 7 giorni) e a luci spente, per far credere che le abitazioni fossero state abbandonate. Lontani dalle finestre per evitare proiettili vaganti. Come racconta Andrea Lorenzetti, capo missione Sudan di COOPI:

“improvvisamente hanno iniziato a sparare da diversi punti della città e non hanno mai smesso, intrappolando i civili all’interno di questi quartieri”.

La stretta collaborazione tra le varie organizzazioni internazionali, le Ambasciate, le Nazioni Unite e l’Unità di crisi della Farnesina ha permesso di mettere a punto progressivamente un piano per l’evacuazione. Come prima misura intrapresa da COOPI, si è cercato con mezzi propri un luogo sicuro dove spostarsi. La scelta è caduta nel quartiere Soba, a sud della città, ospiti nella foresteria dell’ospedale di Emergency, lontano dagli spari. Da lì, la parte di cooperanti europei è stata trasferita all’aeroporto militare e poi è volata a Ciampino (Roma). Gli espatriati africani si sono invece spostati con un convoglio del Programma Alimentare Mondaiale (PAM) verso Port Sudan, in un viaggio via terra durato oltre 48 ore; da lì sono stati imbarcati verso Gedda e ieri, 27 aprile, sono ripartiti per i paesi natali.

Sempre ieri, i 3 cooperanti basati a El Fasher sono riusciti finalmente a lasciare il paese con un volo aereo diretto a N’Djamena, accolti e ospitati dallo staff di COOPI in Ciad.

Nonostante il momento di grande instabilità, i restanti due uffici di COOPI (quello di Khartoum è stato chiuso) continuano ad essere attivi nelle aree del paese dove i combattimenti non sono così aspri e dove le condizioni permettono ancora allo staff nazionale di poter operare.

Se all’inizio di gennaio, secondo i dati delle Nazioni Unite, si registrava già un terzo della popolazione in condizioni di urgente bisogno, dopo questa guerra interna si parlerà di un numero molto più elevato. La categoria che rimane maggiormente nel disagio è proprio quella dei rifugiati, con cui COOPI a Khartoum stava già lavorando precedentemente alla crisi, e quella dei nuovi sfollati. I nuovi spostamenti delle ultime settimane sono infatti uno dei focus del costante monitoraggio che lo staff locale sta svolgendo. Monitoraggio indispensabile per poter preparare piani di logistica ed essere pronti a rispondere ad eventuali situazioni di emergenza ulteriori.

Conclude Lorenzetti:

“COOPI Sudan rimane in Sudan, è in Sudan e conta sulla struttura della missione e sui colleghi sudanesi che non hanno mai lasciato il paese e che sono direttamente coinvolti nel portare avanti i nostri valori, i nostri principi e i bisogni delle popolazioni con cui ci troviamo ad avere a che fare.”

 

Per sentire il racconto di Lorenzetti: