Curanderos, naturistas, parteros. Come si curano gli Uru-Chipaya
17-06-2019 | di COOPI

Curanderos, naturistas, parteros. Come si curano gli Uru-Chipaya

Nell’ambito del progetto “Chipaya: memorie dell’acqua e del vento. Verso nuove forme di resilienza comunitaria”, finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS) abbiamo svolto una ricerca, conclusasi lo scorso anno, in collaborazione con l’università di Torino proprio per indagare il ricorso delle comunità all’autocura.

Lo studio dal titolo “Chipaya: ricerca sulla conoscenza e l’uso di piante medicinali”, si è svolto tra luglio e settembre 2018, con l’obiettivo di indagare i temi della salute interculturale e le conoscenze ancestrali del popolo Chipaya, in particolare sulla medicina tradizionale e sulle piante curative.

Dalla ricerca, è emerso come l’autocura sia fortemente utilizzata e diffusa in caso di malattie considerate poco gravi o pericolose, come malattie respiratorie o diarroiche o ancora infezioni urinarie.

Questo dato ha rivelato anche un’ampia erudizione da parte della comunità locale riguardo le pratiche ancestrali di guarigione e le piante medicinali , soprattutto delle specie autoctone, tramandate di generazione in generazione dagli antenati di ciascuna famiglia e che testimoniano ancora oggi di un forte legame con il territorio e senso di appartenenza a un passato comune.

Un secondo elemento della ricerca ha dimostrato invece l’esistenza di continui riferimenti al caldo e al freddo come cause principali delle malattie: questo, oltre ad evidenziare i costanti cambi climatici tipici dell’altipiano, richiama, in contesto Chipaya, alcune categorie tipiche della medicina andina. Il vento è un elemento fondamentale e costante a Santa Ana, tanto da dare il nome a una malattia, il “mal del viento”, caratterizzata da paralisi facciale.

Il concetto di “stare bene” per gli Uru-Chipaya

I concetti di malattia, dolore e guarigione assumono significati molto diversi da quelli ai quali siamo abituati in contesto biomedico. Nell’ottica della medicina andina, infatti, lo “stare bene” è l’equilibrio fisico, sociale ed emozionale della persona secondo la sua età e il suo sesso. Per contro, l’enfermedad ovvero la malattia rappresenta un disequilibrio per il quale non viene semplicemente curato il sintomo, ma si tiene conto dell’interezza del contesto naturale, sociale e fisico nel quale il disagio si presenta.

Per questo motivo anche il cibo e lo stile di vita concorrono a determinare la salute e lo “stare bene”. Ad esempio, i cibi possono essere caldi o freddi, e ciascuno di essi viene assunto in determinati momenti della giornata, periodi dell’anno, o condizioni personali e sociali.

Nel contesto della medicina tradizionale Chipaya, diverse sono le figure coinvolte nella medicina tradizionale:

  • curanderos e curanderas si occupano degli aspetti spirituali del processo di cura e guarigione, con l’utilizzo di piante;
  • naturistas conoscono le modalità di utilizzo delle erbe e piante medicinali;
  • parteros e parteras si occupano, oltre che del parto, della fase precedente e successiva di accompagnamento e assistenza alla futura o neo madre e alla sua famiglia.

Nell’ambito del progetto “Chipaya: memorie dell’acqua e del vento. Verso nuove forme di resilienza comunitaria” che si concluderà nel 2020, ci proponiamo di sviluppare una ricerca sulla medicina tradizionale Chipaya e sulle sue relazioni con la biomedicina, oltre a studiare l’utilizzo delle piante medicinali più diffuse e dei metodi di raccolta, in collaborazione con la UTO (Universidad Tecnica di Oruro) e con Oscar Plata, etno-botanico e alcuni curanderos Chipaya.

A completamento di questa ricerca, intendiamo valorizzare queste pratiche ancestrali, favorendo il passaggio di conoscenze da curanderos e anziani/e della comunità alle nuove generazioni, oltre il reperimento e l’utilizzo delle piante stesse nelle serre delle scuole di Chipaya.

Ringraziamo Elena Cardano, della UNITO di Torino, per la collaborazione.