In Nigeria è crisi umanitaria.
25-07-2016 | di COOPI

In Nigeria è crisi umanitaria.

L'intervista a Marco Loiodice, cooperante COOPI in Nigeria, raccontata da Ambra Notari per Redattore Sociale.

ABUJA (Nigeria)- Si stima siano 2 milioni e 700 mila gli sfollati nell'area del Lago Ciad, che comprende Nigeria, Camerun, Niger e Ciad. Di questi, 2 milioni e 300 mila sono nigeriani: in quasi 2 milioni di casi si tratta di sfollati riconducibili al conflitto.

"Siamo di fronte a una crisi umanitaria trascurata dalla comunità internazionale, di cui nessuno si interessa se non per il ruolo di Boko Haram". A parlare è Marco Loiodice, cooperante da 4 mesi in missione nello Stato africano per conto di Coopi: "Quello che sta succedendo oggi in Nigeria ricorda molto quanto successe anni fa in Ruanda: anche allora l'Occidente non si mosse, e non fornì nessuna risposta tempestiva". La ong milanese in Nigeria porta avanti programmi legati soprattutto alla nutrizione e alla protezione dell'infanzia, finanziati da Echo, la Direzione generale per gli Aiuti umanitari e la protezione civile della Commissione europea: "Siamo di fronte a una carestia, a un collasso alimentare. Noi ci impegniamo nella distribuzione di beni alimentari, ma lo stato- soprattutto dei bambini- è allarmante, complici anche le terribili condizioni igieniche. I tassi di mortalità sono saliti. Senza dimenticare che molti dei bimbi hanno un passato da bambino soldato, con tutto quello che ne consegue.

Oggi per strada è questo quello che vediamo: ragazzini malnutriti e sfollati che vagano, in fuga dalla violenza di Boko Haram, con gravi traumi alle spalle". Secondo i dati di Unicef tratti dal "The Unicef National Nutrition and Health survey", soltanto il 22 per cento dei bambini sono allattati correttamente entro un'ora dalla nascita e solo il 10,7 per cento dei bambini tre i 6 ed i 23 mesi ricevono una dieta appropriata in termini di equilibrio tra cibi liquidi, semi-solidi e solidi.

Qualcosa ha cominciato a muoversi, a livello mondiale, solo qualche giorno fa, dopo l'articolo uscito sul Guardian in cui Medici senza frontiere ha accusato l'Onu di non essersi mosso abbastanza velocemente per rispondere agli allarmi lanciati dalla Nigeria. Perché se, come dichiarato dal governo nigeriano, la crisi militare si è conclusa a settembre 2015, Boko Haram è ben lontano dall'essere sparito, e anche nelle zone liberate ci sono strascichi drammatici a livello umanitario, effetti collaterali devastanti. "Oggi la presenza di Boko Haram si concentra soprattutto negli Stati di Yobe, Adamawa e Borno, nel nord-est del Paese: sorgono nel Borno Chibok e la Sambisa forest, i tristi teatri delle migliaia di rapimenti di giovani donne", continua Loiodice. A Yobe, Coopi supporta 1.300 "hosting households": si tratta di nuclei famigliari estesi che accolgono volontariamente i rifugiati e gli sfollati, dando riparo, nella maggior parte dei casi, a bambini costretti ad abbandonare le loro famiglie, o rimasti orfani nel corso degli spostamenti dai luoghi colpiti direttamente dal conflitto nelle aree circostanti (i minori sono il 60% dei rifugiati presenti nello Stato di Yobe).

Migliaia di sfollati, invece, sono accolti nei campi rifugiati, molti dei quali non attrezzati: senza acqua, senza servizi sanitari, con il rischio costante di un'epidemia di colera. "I cooperanti rifiutano le scorte armate, e molte aree sono ancora inaccessibili agli aiuti umanitari. L'esercito di liberazione scopre quotidianamente nuovi cimiteri in zone abbandonate: vittime della violenza di Boko Haram, certo, ma anche della malnutrizione". E se il conflitto dovesse andare avanti anche solo altri due mesi- cosa praticamente certa-  la situazione peggiorerà ulteriormente: "Questa è la stagione delle piogge, e i contadini devono seminare. Se non possono tornare alle loro terre, non ci sarà il raccolto. E quando qualcuno riesce a fare ritorno a casa, spesso ci trova i pastori, che approfittano dell'assenza degli agricoltori per fare pascolare nei campi le loro greggi. Non sono rari, purtroppo, gli scontri a fuoco tra contadini e pastori, che si battono per lo stesso pezzo di terra".

Intanto, il governo nigeriano porta avanti la battaglia contro l'organizzazione terroristica (che nel marzo 2015 ha giurato fedeltà all'Isis) su più fronti. Una strategia adottata è il taglio delle vie di sostentamento da e per le zone che ritiene occupate da Boko Haram: "Purtroppo, così facendo isola anche i cittadini che le abitano", sottolinea Loiodice. Un ruolo importante, in questo conflitto, lo gioca anche la polizia antidroga nigeriana, che batte le vie del viagra, utilizzatissimo dai miliziani: "Il loro obiettivo è mettere incinta più donne possibile. Sono convinti che la società rigetterà sempre quei bambini perché figli di soldati, relegandoli ai margini della società. Vedendosi respinti, sentendosi esclusi, non potrebbero- a loro modo di pensare- che portare avanti la missione dei padri. Così facendo, nella loro follia credono di assicurare longevità a Boko Haram".

Secondo Loiodice, l'unica speranza è che questa situazione diventi più visibile mediaticamente: "Sappiamo bene che non ci sono fondi per reagire a tutte le crisi umanitarie. Di conseguenza, le grandi agenzie li spendono in quelle con maggiore visibilità e impatto sull'opinione pubblica. Purtroppo, di quello che succede in Africa alla comunità ricca interessa sempre meno. Anzi, interessa solo quando quelle tragedie si trasformano in flussi migratori".

Come intervenire, allora? "Per prima cosa, credo siano indispensabili corridoi umanitari per far uscire i nigeriani dalle aree isolate per sconfiggere Boko Haram. In secondo luogo, è necessaria non solo un'attività di sensibilizzazione, ma anche un maggiore coinvolgimento dei grandi attori, affinché possano offrire adeguato supporto alimentare, agricolo e psicologico. Se non agiamo subito, un giorno ci sveglieremo e leggeremo su un giornale di migliaia di persone morte. Leggeremo di loro e leggeremo tanti messaggi di cordoglio, tanto inutili quanto tardivi".

Di Ambra Notari

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Il progetto di COOPI in Nigeria è stato realizzato con il supporto della Direzione generale per gli Aiuti umanitari e la protezione civile della Commissione europea (ECHO).